Management per tutti

Consigli, lezioni e spunti pratici di management per la tua attività; ecco come raggiungere in maniera sistematica i tuoi obiettivi.

Product management, cos’è, definizione e 9 consigli pratici

In questo articolo ho raccolto nove lezioni dal mondo del product management utili a chiunque, indipendentemente dal settore, dalla professione, dal prodotto o dal modello di business.

Continua il nostro viaggio alla ricerca di lezioni di management per tutti. Oggi nello specifico voglio portarti dei consigli utili ed applicabili fin da subito dal mondo del product management.

Prima è doveroso fare un passo indietro e spiegare che cosa sia il product management; per qualcuno potrebbe essere scontato, eppure, specialmente alle nostre latitudini c’è ancora tanta confusione e il product manager è per molti una figura sconosciuta.

Alla scoperta del product management

 

Il product management è l’insieme di attività collegate alla gestione di un prodotto durante l’intero ciclo di vita di un prodotto. Ogni prodotto ha una sua storia: dall’ideazione alla pianificazione, dallo sviluppo alla vendita, dal miglioramento all’uscita del mercato. Durante queste fasi vengono coinvolte figure e risorse differenti, passiamo infatti dal design alla logistica, dalla produzione alla tecnologia, dalla vendita all’amministrazione.

Non voglio fare l’imbruttito, provo a spiegarlo terra a terra: il product manager è responsabile di coordinare tutto ciò che serve per creare, produrre e vendere il miglior prodotto possibile.

Qualcuno lo definisce come il “CEO del prodotto”, io sinceramente non amo particolarmente questa definizione. Preferisco paragonarlo ad un direttore d’orchestra.

Il direttore d’orchestra si occupa di allineare, dirigere e organizzare al meglio l’orchestra verso un unico obiettivo: offrire la miglior esperienza possibile al pubblico, tramite la musica.

Il product manager si occupa di allineare, dirigere e organizzare al meglio le risorse di un’azienda verso un unico obiettivo: offrire la miglior esperienza possibile ai clienti, tramite il prodotto.

I giochi non finiscono qui, il product management come la direzione di un’orchestra non si limita a creare il prodotto giusto, ma anche di produrlo e riprodurlo nella maniera giusta, andando ad ottimizzare i processi lavorativi e creando le giuste procedure.

Un direttore d’orchestra potrebbe aver composto una melodia fantastica, questo però non basta. Deve riuscire anche a far suonare e replicare il bando in maniera perfetta e questo lo deve fare ad ogni concerto.

Pensa ad un cuoco, è inutile aver scoperto una nuova ricetta incredibile, gustosissima, bilanciata e raffinata e poi non riuscire a servirla. Come al solito l’esecuzione è la parte fondamentale di ogni processo, una buona esecuzione parte da una buona idea; il product management è il punto di congiuntura tra questi due principi.

Chi è il product manager

 

È la prima volta che senti parlare di product management? Non ti preoccupare, è normale, il product management è una disciplina particolarmente diffusa nel mondo della Silicon Valley, delle SAAS (Software As A Service), delle startup digitali e in generale di qualunque azienda che faccia della tecnologia e/o l’innovazione i propri cavalli di battaglia.

Non per nulla il product management viene spesso rappresentato come il punto di intersezione tra la tecnologia, l’UX (inteso come design di prodotto; funzionalità, usabilità, aspetto…) e il business (marketing e vendita). Il product manager pertanto si muove all’interno di queste discipline.

product manager chi è e cosa fa

Il product manager ha la responsabilità di dirigere e coordinare queste aree per ottenere il miglior prodotto possibile.

Uno degli obiettivi principali di un product manager è raggiungere il cosiddetto “Product-Market fit”. Non basta trovare il prodotto giusto e sviluppare il modo giusto di produrlo. Questo prodotto deve trovare uno spazio nel mercato, un punto di incontro tra le esigenze dei clienti e un modello di business profittevole.

Provo a semplificare (probabilmente banalizzando un pochino) il concetto di product-market fit perché meriterebbe un approfondimento tutto suo. Il product market fit viene raggiunto quando troviamo una risposta alla domanda cosa vendo, a chi vendo e come lo vendo.

Product market fit definizione esempi cosa è

Ecco alcuni dei punti che rientrano nel come lo vendo:

  • Prezzo
  • Tipologia di pagamento (abbonamento mensile, pagamento annuale, pagamento unico…)
  • Modalità di pagamento (anticipato, alla consegna, rateale…)
  • Canali di distribuzione (vendita diretta, e-commerce, intermediari…)

Marc Andersen, una delle persone più celebri nel mondo delle Startup ha definito in un suo celebre articolo –The only thing that matters– il concetto di product-market fit in questo modo:

“Product market fit significa essere in un buon mercato con un prodotto che può soddisfare quel mercato”

La parola fit (intesa come calzare, adattare e vestire) non è stata scelta per caso. Il product management è un lavoro di sartoria, il product manager deve trovare le misure per poter cucire l’abito perfetto tra il prodotto e il mercato
Fine dell’introduzione, ora passiamo ai nostri consigli.

Adesso potresti pensare “Cosa potrò mai imparare io dal product management che non ho una Startup tecnologica e non vendo software?”

Il dubbio è lecito, potresti essere un avvocato o un ristoratore, un consulente o un negoziante, tutte realtà (apparentemente) molto distanti dal product management. Concedimi ancora un paio di righe prima di passare alla lista di consigli veri e propri.

Posso assicurarti che indipendentemente dal tuo settore, dal prodotto o che tu sia una PMI, un freelance o un’associazione di beneficienza questi consigli faranno anche al caso tuo.

Perché hai bisogno di conoscere alcune nozioni di product management

 

Come ho già detto in altre occasioni non hai bisogno di un manager, hai bisogno del management. anche in questo caso non è detto che tu abbia bisogno di assumere un product manager o diventare un esperto mondiale di product management, sono però certo che trarrai notevoli spunti preziosi da questa disciplina.

Prima di passare ai consigli voglio farti due esempi concreti, di come due attività “tradizionali” e che non hanno nulla a che vedere con la Silicon Valley e le Startup tecnologiche potrebbero giovare dal product management.

Insegnante di inglese

Prendiamo un insegnante (libero professionista) di Inglese che causa pandemia ha dovuto sospendere i corsi dal vivo, per questo ha deciso di lanciare dei video corsi online.

Cosa farebbe un insegnante di inglese senza competenze di product management:

  • Ingaggerebbe uno sviluppatore (a caro prezzo) per creare una piattaforma propria
  • Comprerebbe delle attrezzature professionali (videocamere, microfoni e luci)
  • Inizierebbe a registrare ore e ore di lezioni, in modo da avere più corsi possibili per ogni livello
  • Aspetterebbe di avere il tutto il materiale pronto e una piattaforma perfettamente funzionante prima di lanciarsi sul mercato

Per vendere un corso di Inglese impiegherebbe probabilmente un paio di mesi (minimo!) e tanti, tanti soldini, senza avere nessuna garanzia che il corso piaccia al pubblico (ne di chi sia realmente il pubblico).

Cosa farebbe un product manager per vendere un corso di Inglese

 
  • Parlare con i potenziali clienti tramite sondaggi (quantitativi) e interviste (qualitative)
  • Analizzare i sondaggi e le interviste per trarre delle prime ipotesi di un possibile prodotto e di funzionalità interessanti.

Esempio: l’insegnante pensava di dover fare unicamente dei video, dai sondaggi emerge che tutti vorrebbero avere anche una trascrizione testuale.

  • Testare l’idea nel minor tempo possibile con il minor investimento possibile, ad esempio: creare un piccolo video da mezzora, caricarlo su Youtube e inviarlo a dei potenziali clienti.
  • Raccogliere ulteriori feedback dopo che le persone hanno testato “il prototipo” e convalidare o smentire eventuali ipotesi.

Esempio: l’insegnante pensava che la modalità più interessante fosse quella di registrare poche lezioni di lunga durata, dopo i feedback scopre che le persone preferiscono tanti video di breve durata. >> clicca qui per scoprire come promuovere (per davvero!) la cultura del Feedback in azienda

  • Registrare un primo video corso, pubblicarlo tramite delle piattaforme di terzi e testare diverse modalità di prezzo (abbonamento, pagamento unico…)
  • Analizzare i risultati e scoprire chi sia veramente il proprio cliente ideale

Esempio: l’insegnante dava per scontato che i suoi clienti target fossero gli studenti universitari, tramite i dati di vendita scopre che in realtà il pubblico principale è fatto da manager in età avanzata e persone senza un impiego che vogliono migliorare il proprio inglese.

In poche settimane potrebbe non solo essere operativo (e magari raccogliere i primi guadagni), ma soprattutto otterrebbe informazioni preziosissime per lo sviluppo futuro riducendo il rischio di fare un gigantesco buco nell’acqua. Infatti, procedendo in questo modo eliminerebbe la possibilità di fare un grosso investimento fallimentare ed eviterebbe sprechi di denaro e/o di tempo prezioso.

Libreria

Passiamo ad un altro esempio di un’azienda apparentemente molto lontana dal product management: una libreria. Il titolare ha avuto l’idea di lanciare un nuovo servizio: un abbonamento per ricevere a domicilio quattro libri al mese.

Cosa farebbe una libreria senza competenze di product management

  • Inizierebbe catalogando tutti i libri presenti in libreria, tra i libri negli scaffali e nel magazzino parliamo di qualche decina di migliaia di volumi (un lavoro molto lungo e dispendioso)
  • Assumerebbe un informatico per creare il sistema di ordinazione
  • Spenderebbe tanto tempo per trovare il miglior servizio di spedizione (costo-qualità)
  • Investirebbe notevoli cifre in una campagna di marketing per promuovere il nuovo servizio di abbonamento

Anche in questo caso rischierebbe di essere un investimento fallimentare; il servizio potrebbe non interessare alle persone, oppure il prezzo potrebbe essere ritenuto troppo caro ma per non andare in perdita non sarebbe possibile abbassarlo.

Cosa farebbe un product manager in una libreria

 
  • Guardarsi intorno e cercare soluzioni analoghe e/o simili anche in altri settori
  • Intervistare dei clienti fedeli (lettori accaniti che frequentano spesso la libreria)
  • Analizzare le interviste e convalidare o smentire eventuali ipotesi di partenza

Esempio: pensava che le persone volessero scegliere i due libri da leggere, invece preferirebbero farsi stupire con un effetto sorpresa (il libraio sceglie personalmente i libri in base ai gusti dei lettori)

  • Testare il servizio “manualmente” (senza nessun tipo di piattaforma) con un paio di clienti
  • Raccogliere dei primi feedback e trarre delle nuove conclusioni

Esempio: emerge che quattro libri al mese sono troppi, i clienti preferirebbero ricevere due libri al mese.

  • Lanciare il servizio gestendolo telefonicamente e/o raccogliendo le iscrizioni in cassa fino a quando la piattaforma non sarà pronta
  • Pubblicare la piattaforma quando saranno stati catalogati almeno un centinaio dei libri preferiti dai clienti e gradualmente catalogare il restante dei libri.

Hai visto? La libreria potrebbe testare e lanciare il servizio senza nemmeno aver scritto una riga di codice, al contempo eviterebbe di intraprendere delle strade sbagliate per non avere testato prima il servizio e ascoltato i clienti. Soldi risparmiati, tempo investito meglio e una grossa riduzione del rischio, meglio di così non potrebbe andare.

A proposito di librerie, ho selezionato una lista di libri che consiglio di leggere sull’argomento del product management, la trovi qui.

Spero di averti convinto, potresti non avere bisogno di un product manager, ma sono sicuro che gioveresti molto nell’introdurre alcune prassi di product management. Ora finalmente possiamo passare ai consigli che ho selezionato per te.

Le nove lezioni che ho imparato dal product management

9 lezioni di product management infografica

Ci siamo, dopo questo lungo preambolo (tuttavia necessario) possiamo iniziare con le lezioni di product management utili a chiunque, indipendentemente dal settore e dal modello di business.

1. Non venerare una singola metrica

 

Ho parlato spesso anche io di quanto sia importante focalizzarsi su pochi obiettivi primari, e di quanto sia vitale fissare delle metriche quantitative, per stabilire se l’obiettivo sia stato raggiunto o meno.

Non facciamoci però prendere troppo la mano. Il pericolo più grande è quello di osservare un’unica metrica. Non esiste metrica che rispecchi al 100% l’andamento di un’azienda, la performance di una strategia o il risultato di una qualunque attività. In tanti suggeriscono di avere una “North Star Metric”, una stella polare che guidi l’intera azienda, questo può essere utile, ma la “stella polare” non deve essere l’unica metrica analizzata.

Il fatturato, ad esempio, preso come dato singolo è praticamente irrilevante. Senza conoscere l’utile, l’ebitda e i tassi di crescita, il fatturato dice ben poco.

Il numero di prodotti venduti è un dato importante, ma inutile senza conoscere costi e margini.

Il numero di clienti acquisiti è un altro dato fuorviante, utile per carità, ma senza sapere il lifetime value dei clienti è un indicatore che dice poco.

Riprendo l’esempio dell’insegnante di inglese che decide di lanciare dei corsi online. In tanti potrebbero illudersi prendendo come unico riferimento il tasso di crescita degli iscritti o il numero assoluto di iscritti. In realtà il numero di iscritti deve essere correlato alla retention (il tasso di persone “attive”, ovvero quanti clienti continuano a guardare i corsi dopo l’iscrizione).

Quindi, mi raccomando, non venerare mai una singola metrica. Potresti benissimo avere una metrica principale, questa deve però essere accompagnata da altre metriche, dette secondarie.

Il mio consiglio è quello di scegliere una fino ad un massimo di tre metriche primarie e 3-5 metriche secondarie. Queste metriche possono essere cambiate annualmente, trimestralmente o mensilmente a dipendenza del momento.

A tal proposito ti riporto una citazione di Adora Cheung, partner di Y Incubator, uno degli incubatori più importanti del mondo, durante un intervento alla Startup School 2019.

So, people have referred to the primary metric as a North Star Metric. And I actually don’t like the term North Star, because it kind of…people have interpreted it as something, you just focus on this one metric and then ignore everything else. But like I said earlier, there’s no metric that actually tells a story, that tells 100% of the story, maybe 90%, but not 100%. And so, sometimes, founders fool themselves by literally only tracking their primary metric and nothing else. So, a common example is just looking at user growth and just ignoring retention completely. But retention is obviously just as important to user growth, as is new user acquisition.

2. Cerca sempre di considerare l’insieme di attività (“the big picture”)

 

L’obiettivo di un direttore d’orchestra è uno solo: offrire la miglior performance possibile. Il risultato è la somma di tanti elementi: la prestazione di ogni singolo musicista, lo spartito, il cambio di una nota, la disposizione dell’orchestra ecc., ogni cambiamento, anche il più piccolo e apparentemente irrilevante deve essere finalizzato ad una “missione” più grande, appunto la performance finale.

Il product manager fa la stessa cosa, non può e non deve prendere decisioni senza considerare l’intero contesto aziendale, composto da una visione a lungo termine e una macro-strategia per inseguire questa visione.

Considerare “the big picture” come la chiamano gli americani, incide su ogni aspetto, operativo e strategico di un’azienda. È troppo rischioso prendere delle decisioni singolari che non tengono in considerazione di tutto l’ecosistema aziendale.

Lo so, sembra una pappardella teorica, ti faccio subito un paio di esempi per farti capire che cosa intendo.

Francesca è la titolare della gelateria più di successo della sua città; da più di vent’anni il suo gelato è apprezzato e riconosciuto da tutti come il migliore della zona. Ogni inverno la stessa storia: le vendite diminuiscono drasticamente, per l’estate successiva vorrebbe aprire una nuova filiale in un’altra città e per farlo ha bisogno di aumentare la liquidità. Ingenuamente decide di iniziare a vendere (nella stessa gelateria, quindi con lo stesso brand) anche panini e pizzette. Nel breve periodo potrebbe anche (non è detto) avere un sensibile aumento di utili, sul lungo periodo sarebbe un grave danno per il suo posizionamento.

Questo è un chiaro esempio di decisione presa senza guardare “the big picture”. Infatti considerando unicamente il lato finanziario nel breve periodo potrebbe anche essere soddisfatta, a lungo andare avrebbe sicuramente delle ripercussioni e perderebbe lo status di “miglior gelateria della città”.

Luigi è un sarto, produce lussuosi abiti e completi su misura. Suo figlio, Marco, ha studiato web-marketing e ha convinto il padre a digitalizzarsi lanciando un’e-commerce, in modo che le persone possano ordinare i vestiti comodamente da casa. Marco è bravo nel suo lavoro, promuove molto bene l’e-commerce e in pochi mesi gli ordini aumentano del 200%. Luigi non ha la capacità produttiva per stare dietro a tutte le ordinazioni. Dopo l’entusiasmo iniziale hanno iniziato a vivere un incubo: la casella di posta è invasa da reclami per i ritardi, il telefono squilla in continuazione da clienti che chiedono i rimborsi, il conto in banca non cresce perché hanno fatto male i conti e tra spedizioni, packaging e commissioni non hanno dei margini abbastanza alti. Infine, Giacomo il suo assistente si è licenziato dopo l’ennesimo ritardo sul versamento dello stipendio.

Con questo non voglio dire che sia sbagliato lanciare un’e-commerce, tutt’altro, ma l’e-commerce è il classico esempio di attività che richiede per forza di considerare l’intero ecosistema aziendale. Non è sufficiente creare un sito fantastico ed essere bravi nel marketing: dalla logistica all’analisi dei costi, dalla produzione al customer care, ogni decisione deve essere equilibrata, bilanciando tutti gli elementi aziendali.

3. Trasparenza per ottenere allineamento

 

Vorrei trattare l’argomento della trasparenza per giorni, è un valore che ritengo troppo importante, imprescindibile, sia all’interno di un gruppo di lavoro che nella vita privata.

Nel product management insegnano a condividere la visione sul prodotto a lungo termine con tutti i reparti, in modo che sviluppatori, marketers, venditori e ingegneri possano nel loro quotidiano prendere delle decisioni coerenti con questa visione.

Allo stesso tempo è importante che il programmatore conosca le intenzioni del reparto marketing, e i venditori dialoghino con il reparto produzione rimanendo aggiornati sulle caratteristiche del prodotto.

Essere trasparenti su tutto e con tutti è il modo migliore, e forse anche l’unico per riuscire ad allineare il team verso un unico obiettivo, verso la “big picture” che abbiamo trattato nel punto precedente. Per creare una cultura aziendale all’insegna della trasparenza devono essere i leader i primi promotori di questo movimento, condividendo gli obiettivi, la visione a lungo termine e le strategia generale.

Ecco alcuni punti che potresti iniziare a condividere con il team per aumentare la trasparenza:

  • Vision e mission aziendali
  • Valori umani che ti guidano come leader
  • Obiettivi a lungo, medio e breve termine
  • Strategia generale
  • Rapporti finanziari e di vendita (è giusto che i tuoi collaboratori siano consapevoli dell’andamento dell’azienda)

Ti invito ad ascoltare la puntata del mio podcast: “Chi lavora con noi crede in quello che facciamo?”

Infine, ci sono due punti a cui tengo molto e che spesso passano in secondo piano.

Allocazione delle risorse & business plan

Ti porto un’esperienza personale. Qualche anno fa stavo lavorando come temporary manager per un cliente, avevamo da poco chiuso un contratto importante che avrebbe portato un notevole aumento di capitali all’interno dell’azienda. Il mio apporto fu fondamentale per il successo della trattativa. Ero pertanto convinto che avrei avuto il budget necessario per allestire un nuovo team di management. Invece decisero di fare altri investimenti. Ci rimasi molto male.

Essere trasparenti, sul modo in cui le risorse vengono e verranno allocate in futuro evita fraintendimenti del genere.

Assegnazione dei compiti

Immagino che tu sia un imprenditore o uno startupper, se hai avuto l’occasione di lavorare come dipendente per una grande azienda ti invito a ripensare a quei momenti. Sapresti dire con esattezza che cosa facesse ogni tuo collega? Sapresti raccontarmi per filo e per segno che lavoro svolgeva il tuo compagno di scrivania?

Ritengo fondamentale all’interno di un’azienda creare massima trasparenza sui compiti di tutte le persone presenti. Tutti devono, o per lo meno devono poter sapere (se lo vogliono) con precisione chi si sta occupando di che cosa.

A tal proposito può essere utile stabilire e condividere pubblicamente una matrice di responsabilità prima di ogni lavoro.

Alcuni vantaggi di promuovere la cultura della trasparenza all’interno di un’azienda

  • Aiuta gli stakeholders interni ed esterni a comprendere meglio le priorità
  • Maggior coinvolgimento delle persone
  • Allineamento di tutti i reparti
  • Responsabilizza le persone, che diventano pienamente consapevoli del loro ruolo
  • Aumenta la fiducia tra le persone e verso il leader
  • Favorisce lo scambio continuo, sincero e rispettoso di feedback, utili a crescere professionalmente e personalmente

Concludo citando una frase di Keith Ferrazzi, che è stato più giovane direttore marketing all’interno di un’azienda della Fortune500:

“I colleghi che non sono a loro agio a parlare con sincerità faccia a faccia, lo faranno alle spalle. E questo comportamento ha un caro prezzo per l’azienda.”

4. Roadmap flessibile

 

Uno degli strumenti princiapli del product management è la roadmap di prodotto. La roadmap di prodotto è una rappresentazione visiva della direzione presente e futura del prodotto.

Possiamo paragonarla ad una vera e propria mappa che indica l’itinerario da cui passare per arrivare a destinazione (offrire il prodotto migliore, nel modo migliore, al mercato migliore).

La roadmap di prodotto fornisce informazioni diverse a dipendenza del target di riferimento. Ad uno stakeholder, come una banca o un socio in affari mostreremo una roadmap che indichi la visione generale.

Come puoi vedere questa roadmap non è altro che una linea del tempo con alcune date significative. Con un semplice schema possiamo impostare la direzione di un anno intero, forte no?

Mentre al team di lavoro mostreremo un’altra tipologia di roadmap, che fornisca delle informazioni precise di chi debba fare che cosa. Per coordinare al meglio i lavori ed assegnare i compiti avremo quindi una roadmap incentrata sulle task e gli obiettivi da raggiungere.

Sono due roadmap completamente differenti. Entrambe puntano verso la stessa direzione e hanno la stessa linea temporale, tuttavia sono state create per due pubblici differenti e per fornire informazioni differenti.

Chiunque abbia studiato o lavorato nel product management sa quanto sia importante la progettazione di una roadmap, come dico sempre un’idea senza un piano d’azione rimarrà soltanto un’idea. Il primo spunto che possiamo trarre in questo senso è prendere l’abitudine di abbozzare SEMPRE una mini roadmap, creare sempre uno schema che indichi almeno a grandi linee cosa verrà fatto, quando e/o per quando, come e da chi.

Attenzione! I product manager in gamba insegnano che le roadmap devono essere flessibili. Non stiamo parlando di un testo sacro e intoccabile. Credo che possa essere un insegnamento valido in ogni tipologia di pianificazione, non soltanto nella gestione del prodotto. Sono finiti i tempi delle pianificazioni annuali o addirittura quinquennali che non consentono modifiche e aggiornamenti di nessun tipo.

Flessibilità e pianificazione è un matrimonio possibile, non fidarti di chi dice il contrario.

Cosa succede quando non riusciamo a rispettare una data della roadmap? Assolutamente nulla. Un altro errore che vedo spesso fare è quello di prendere troppo sul “personale” il mancato raggiungimento di una milestone.

Non stiamo parlando di scadenze improrogabili, nessuno viene a farti la multa se pubblichi il nuovo sito-web a giugno invece che a marzo.

Stop all’ortodossia, come diventare realmente un’azienda flessibile >>

C’è stato un ritardo dei fornitori, sono cambiati i piani strada facendo, delle nuove priorità si sono aggiunte in corso d’opera, è stata fatta una sottostima del lavoro in fase di progettazione della roadmap… Le ragioni che possono portare ad un mancato raggiungimento di un obiettivo sono tante, l’importante è trovare quale sia questo motivo.

“Non c’è nulla di male nel non raggiungere un obiettivo, l’importante è comprenderne le ragioni. Chi sbaglia senza riuscire a trovare un perché è destinato a sbagliare ancora.”

Per concludere: prendiamo l’abitudine di creare sempre una roadmap (non solo di prodotto) sapendo che potrebbe variare nel tempo. Creare una roadmap è buono, creare una roadmap flessibile è ottimo.

>> 7 lezioni di project management

5. Customer development: ogni occasione è buona per parlare con i tuoi clienti

 

Sarò breve e prometto che farò il prima possibile un approfondimento dedicato al customer development.

Definito da Steve Blank nel libro “The four steps to the Epiphany”, il customer development è un percorso a quattro fasi che porta le aziende a trovare, scoprire e conoscere nel dettaglio i propri clienti, la loro storia, i loro bisogni, le loro caratteristiche demografiche e comportamentali.

5.1 Ogni occasione è buona per parlare con un cliente

La primissima fase del customer development (la fase di customer discovery, ossia scoperta del cliente) inizia con il formulare due ipotesi:

  1. Ipotesi di un problema (le persone non hanno tempo di andare in libreria due volte al mese)
  2. Ipotesi di chi possa avere questo problema (lavoratori, tra i 40-60anni, principalmente di sesso femminile)

Siamo convinti di sapere tutto dei nostri clienti, eppure l’unica verità sta nei dati statistici, dati che non sempre abbiamo a disposizione. Queste ipotesi devono essere verificate con:

  • Sondaggi quantitativi (più sondaggi riceviamo e meglio è)
  • Interviste qualitative (più le interviste sono lunghe e approfondite e meglio è, non basta chiedere “we Mario era buono il piatto che ti ho preparato l’altra volta?”)

Raccogliendo questi feedback potresti scoprire che il reale problema non sia la mancanza di tempo, ma la difficoltà di scegliere due nuovi libri ogni mese. Oppure potresti scoprire che il target sia principalmente composto da studenti universitari e non da lavoratori tra i 40-60 anni.

Sono chiaramente tutti esempi inventati, l’importante è che passi il messaggio: ogni occasione è buona per parlare con i clienti e scoprire qualcosina in più su di loro.

Le informazioni che dovremmo andare a raccogliere non finiscono qui e potenzialmente sono infinite, più cose sappiamo dei nostri clienti e migliore sarà l’esperienza che potremo offrire.

5.2 Le buyer personas possono mutare

Proprio come la roadmap che deve essere flessibile, dovremmo avere un approccio dinamico anche per quanto riguarda le buyer personas. I clienti di oggi non è detto che siano gli stessi clienti di domani. Pensa alla Disney, i clienti di oggi sono per la stragrande maggioranza genitori che guardavano i cartoni animati da bambini.

Cambiano le abitudini e cambiano gli interessi, di conseguenza anche il prototipo del nostro cliente ideale potrebbe variare.

I ristoranti Giapponesi fino a qualche anno fa avevano principalmente una nicchia ristretta di amanti della cucina fusion, oggi i Sushibar e gli All-You-Can-Eat si rivolgono ad un pubblico di massa: studenti, famiglie, comitive di amici…

Facebook è nato come il social degli universitari, poi è diventato il social degli adolescenti, oggi è il social prevalentemente adulto, l’età media(fonte: pingdom.com) è infatti 38 anni e cresce anno dopo anno.

https://www.pingdom.com/blog/study-ages-of-social-network-users/

6. Evitare le SISP


Ripropongo nuovamente una citazione presa dalla Startup School del 2019. Kevin Hale, investitore e partner in Y Incubator, in una lezione sottolinea un problema comune tra moltissime startup: quello di non risolvere un problema, da cui nasce l’acronimo SISP.

Qualunque Startup dovrebbe nascere per risolvere un problema specifico, mi sentirei di dire che qualunque azienda dovrebbe farlo.

Qui casca l’asino, apparentemente potrebbe sembrare un punto abbastanza ovvio o irrilevante, posso assicurarti che mi imbatto spessissimo in questa situazione, specialmente quando un’azienda sta per nascere o lanciare un nuovo prodotto. Troppe volte vedo imprenditori e startupper concentrarsi sulla tecnologia utilizzata, sulle funzionalità e le caratteristiche del prodotto. In realtà l’attenzione in fase iniziale dovrebbe essere tutta sul problema che si vuole andare a risolvere lanciando un nuovo prodotto sul mercato.

Ti sembrano concetti innovativi? Se ci pensiamo bene l’intera economia si basa da sempre su questo principio: domanda che genera offerta. È anche vero che senza offerta non può esserci domanda, ma bisogna sempre partire con l’intenzione di risolvere un problema preciso o soddisfare un bisogno in particolare.

Non esiste prodotto nella storia che non risolva un problema. Prendiamo la comunicazione tra due persone distanti tra di loro; nel medioevo si utilizzavano i piccioni viaggiatori o le carrozze, poi siamo passati al telegrafo, al telefono, ai fax, alle email e infine a Whatsapp.

Tutti questi mezzi di comunicazione rispondono ad un problema di fondo: comunicare a distanza. Poi ognuno ha innovato rispondendo a dei nuovi problemi: rischio di perdere il messaggio per strada, tempi di consegna troppo lunghi, poca sicurezza ecc.

Quindi, prima di iniziare a produrre e progettare un nuovo prodotto fermati e concentrati sul problema che vuoi andare a risolvere.

https://blog.ycombinator.com/startup-school-podcast-preview-with-kevin-hale/
Fonte: https://blog.ycombinator.com/startup-school-podcast-preview-with-kevin-hale/

7. Procedere gradualmente

Imparare a camminare un passo alla volta è utile in qualsiasi ambito della nostra vita, a maggior ragione nella vita aziendale è un grosso rischio lanciarsi a capofitto sulle cose. Non consiglierò mai di fare un grosso investimento dal nulla, di stravolgere il modello di business in pochi giorni o di rivoluzionare l’intero organico dall’oggi al domani. Qualcuno diceva “Chi va piano va sano e va lontano”. Io aggiungo:

“Chi va piano e sa svoltare in tempo va sano e va lontano”

La creazione di un MVP (minumum viable product) è un ottimo esempio di quanto sia importante procedere gradualmente e con apertura mentale.

Un MVP, in italiano Minimo Prodotto Fattibile, è la versione più piccola e veloce di prodotto che possiamo creare per testare e si spera validare un’idea. Hai avuto l’idea del secolo per un nuovo social network che ti farà diventare il nuovo Zuckemberg? Prima di sviluppare una piattaforma in stile Facebook, con migliaia di funzionalità e un’infrastruttura infinita testa la tua idea in piccolo, qual è il modo più piccolo e rapido che hai per testare la tua idea?

Questo è il tuo MVP. Deve essere qualcosa di molto grezzo, infatti un buon consiglio è -non innamorarti mai di un MVP-.

L’MVP serve appunto a validare ipotesi. Nel punto 5 abbiamo visto due tipologie di ipotesi: ipotesi sul problema (e quindi sulla soluzione che andremo ad offrire per risolverlo) e ipotesi sui clienti (chi sono, dove si trovano, preferiscono usare un’APP o un sito su Browser, preferiscono pagare un abbonamento mensile o un pagamento unico…)

Come creare un mvp

Nella fase di creazione di un MVP sono due gli errori che non dobbiamo fare:

  • Lanciarci a capofitto sulla realizzazione di un’idea senza procedere gradualmente
  • Procedere gradualmente in maniera troppo lineare

Il primo scenario è troppo rischioso ed imprevedibile, il secondo è irrealistico. È difficile che la nostra idea sia già perfetta sotto ogni punto di vista in fase di partenza, sicuramente alcune delle nostre ipotesi verranno smentite dal mercato, per questo dobbiamo essere pronti a svoltare la rotta prima che sia troppo tardi.

Questa lezione vale (di nuovo!) in ogni ambito aziendale, non solo nella gestione di un prodotto. Immagina di voler implementare una nuova metodologia di gestione delle persone (ad esempio la metodologia OKR), non è fattibile rivoluzionare le intere procedure aziendali in mezza giornata, è un lavoro lungo da scomporre in tanti piccoli passi. Allo stesso tempo, dopo qualche settimana, potresti accorgerti che la metodologia non funzioni nel vostro contesto, non facciamone un dramma, l’importante è rendersene conto il prima possibile.

8. Chiediti sempre come potresti migliorare il prodotto, i servizi complementari al prodotto e l’esperienza totale del cliente

 

Il product management, come abbiamo già sottolineato in lungo e in largo serve a creare il miglior prodotto possibile nella miglior maniera possibile.

Alcune attività ricorrenti nel lavoro quotidiano di un product manager:

  • Ipotizzare delle possibili migliorie
  • Aumentare la qualità del prodotto
  • Investire nelle materie prime e nella produzione
  • Identificare eventuali difetti di produzione 

Direi che questo punto sia assolutamente valido per chiunque, indipendentemente dal settore e dal modello di business.

Ho registrato una puntata del podcast su questo argomento: come migliorare un prodotto

Provo a farti un riassunto al volo. Tanti imprenditori hanno l’obiettivo di migliorare il proprio prodotto, il problema è che affrontano questo obiettivo nel modo sbagliato. Le uniche azioni che un imprenditore solitamente fa per migliorare un prodotto sono destinate ad aumentarne la qualità, appunto investendo in materie prime e macchinari.

Ancora una volta mi tocca parlare di ecosistema aziendale, il successo di un’azienda è dato dalla somma di tutte le sue componenti. Per migliorare un prodotto non basta puntare sulla produzione.

Ecco alcune aree su cui concentrarsi per migliorare un prodotto

Customer care

  • Diminuire il tempo di risposta ad una email
  • Migliorare la qualità delle risposte
  • Diminuire il numero di interazioni per risolvere un problema
  • Tempo d’attesa al telefono/chat

Esperienza globale

  • Usabilità
  • Fruibilità
  • Design
  • Qualità delle interazioni con i nostri collaboratori (commerciali, assistenti, baristi, tecnici, camerieri, commessi)

Erogazione del prodotto e servizio

  • Rispetto delle tempistiche e delle scadenze concordate
  • Tempi di spedizione

9. Testa in fretta, apprendi velocemente e sbaglia il prima possibile

In Europa abbiamo una visione del fallimento e dell’errore decisamente più pessimistica rispetto agli americani. In tante interviste ad imprenditori di successo ho sentito dare il consiglio: “Testate in fretta e sbagliate il prima possibile”.

Errare è umano, è naturale e fa parte del gioco, a questo punto meglio sbagliare più presto possibile e correggere la rotta prima che sia troppo tardi.

Alcuni sbagli frequenti nel product management:

  • Nuove funzionalità e servizi extra non apprezzati dai clienti
  • Prezzi troppo alti o troppo bassi
  • Marketing poco chiaro
  • Strategie troppo complesse da implementare
  • Pianificazioni (del budget, delle tempistiche e delle risorse necessarie) troppo ottimistiche

Questo è un punto fondamentale e che in qualche modo potrebbe anche dare fastidio a qualcuno. Dobbiamo accettare che le nostre ipotesi non sempre siano corrette, fa parte del gioco. Anzi, vi dirò di più, prima riusciamo a smentire delle ipotesi false meglio è, se dobbiamo fallire o tirarci la zappa nei piedi meglio farlo subito, finché siamo all’inizio e stiamo muovendo i primi passi piuttosto che in futuro.

9.2 Documenta gli errori e impara il più possibile da ogni errore

Non si smette mai di imparare, tanto più dagli sbagli. L’errore non può essere fine a se stesso e nemmeno può diventare un motivo di inutili piagnistei. Hai fatto un errore? Siediti, prendi carta e penna e scrivi tutti i motivi, le ragioni e le cause che ti hanno portato a sbagliare.

Sbagliare è umano, perseverare è diabolico.

Si può fare lo stesso errore due volte, ma la seconda volta non è più un errore, è una scelta.

Tralasciando queste frasi da baci Perugina, che comunque mi trovano d’accordo (siamo in fase di chiusura e ci tenevo ad alleggerire i toni), documentare gli errori fatti e le lezioni apprese da questi errori può essere l’arma vincente per il futuro

Non siamo riusciti a rispettare una scadenza? La pianificazione non è andata a buon fine? I risultati non sono andati come ci aspettavamo? Il mercato ha smentito una nostra ipotesi? Fa parte del gioco, l’importante è non ripetersi.

Nell’articolo sulle procedure operative standard scrissi: “Una procedura non documentata non è una procedura”.

Oggi scrivo:

“Un errore non documentato è un errore che rifaremo”.

Siamo arrivati alla fine di questa tappa nel mondo management, spero di averti fornito degli spunti preziosi per la tua attività.

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Cristian Boin
Manager in affitto, affianco gli imprenditori nelle loro avventure. Hai un progetto da avviare o da portare avanti? Allora potrei essere il compagno di viaggio che fa al caso tuo. Trasformo le idee in piani d'azione e i progetti in obiettivi da raggiungere.

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